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Visualizzazione dei post da novembre, 2013

La faccia, la “razza” e il destino

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Dalle nostre parti, in Calabria, si sa: la faccia è una razza. Se vedo un bambino ne riconosco subito i tratti; so già “a chi appartiene”. È un metodo infallibile per riconoscere la gente: un dettaglio qualsiasi, un sopracciglio, l’apertura di un sorriso, uno sguardo scavato, l’andatura, dicono quasi tutto di un individuo, che trova in tal modo la sua collocazione e forse già il suo destino. Proprio per questo, qualcuno può sentirne un peso insopportabile. Ma la verità è un’altra: collocare una persona dentro una “razza” è un modo per includerlo, per dargli un volto più preciso rispetto a quello che si porta sulla faccia. Se viene inteso come collocazione in un destino già scritto, e quindi come annichilimento dei sogni del singolo, è solo perché si dimentica quanto, persino da queste parti, si creda nella possibilità di riscattarsi e di costruirsi il proprio destino, di far fruttare le proprie mani (anche se poi non si dice mai “quello è stato bravo”, ma piuttosto “quello ha fatto