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Visualizzazione dei post da aprile, 2015

Fraticìeddhu

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Un racconto di Mimmo Bitonto Castello di Mirto – Inizio primavera 1854 Frate Egidio , per assonanza e struttura lo chiamavamo Fraticìeddhu , appartenea ai minimi di san Francesco di Paola, del convento di Morano, posto alle pendici del Pollino. Miserabili essi stessi, si occupavano degli ultimi, orfani, bambini abbandonati, mentecatti, lebbrosi, tisici, affamati, derelitti. I piccoli li teneano con loro, gli altri purtroppo di passaggio, non potendo ospitarli che qualche giorno. Confidavano nella provvidenza e nell’aiuto degli uomini, e si avvaleano di elemosinanti: tale era frate Egidio. Cercava la carità a tutti, fossero ricchi o poveri stendea la mano, non di rado la ritirava vuota, ma non si perdeva d’animo, tanta gente c’era in giro… Camminava a piedi con addosso tutto il suo bottino: un’ampia gerla da montanaro sulle spalle per derrate promiscue; boccioni per vino aceto e olio; sacche e sacchetti, per farina noci ceci secchi lenticchie castagne, a tracolla. A vol

Domenico e la sua ombra - Un racconto di Mimmo Bitonto

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Questo racconto, benché intessuto su un fatto reale, quindi verosimile, non è storia vera, la fantasia ha ruolo rilevante. Nomi, soprannomi e patronimici sono usati per paradigma, sovra tutto fonetico, ovvero a dare colore, inquadrarlo nei luoghi. Il riferimento a persone esistenti o esistite è pressoché casuale. Longobucco, maggio 1952 Pur coricato, un omaccione Domenico dei Verri. A un osservatore inconsapevole il di lui  duro sembiante avrebbe dato della sua indole un’idea errata. La prestanza ricordava i secoli di dominazione svevo-normanna della nostra Terra, la faccia butterata dal vaiolo contratto in gioventù, gli conferiva aspetto sinistro, da antico guerriero, ancor più truce nello stato in cui versava in quel momento, quasi a sostenere, in modo bizzarro, non usurpasse il più comune suo nomignolo di 'u picuniatu , il picconato: un teutonico federiciano che, per proteggere il suo onore, ovvero straziare le carni dei nemici, alla spada preferisse il piccone. I

Nilo da Rossano, ovvero il Pathirionita -- Un racconto di Mimmo Bitonto

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Patire di Rossano – 11 ottobre 1840 Io, Nilo da Rossano, frate minimo francescano, sacrilego, miscredente, carico d’anni e di malanni, di  sorella Morte vicino sento dolce l’aura, con gli ultimi tremiti narrerò di mio pugno, perché ne resti memoria, biasimevole sia o degna di lode, di me medesimo. Ancor fanciullo, mio padre mi cedette per un montone ai frati del convento francescano di Acri. Mia madre, ricordo, pianse, di gioia disse, — Qui mangerai tutti i giorni almeno una volta, figlio mio. Non mi diedero da indossare il saio. — Ti abbiamo pagato caro — mi salutò il priore — usavamo quell’ariete per la monta, ché di razza buona, dovrai prima sdebitarti. Quanto sarà valso quel pecorone? Per otto lunghi anni dovetti pagarlo, faticando peggio di un mulo, senza mai uscire, come sguattero, lavapiatti, lavandaia, campanaro, a spazzolare e rifare giacigli nelle celle dei monaci e nei dormitori dei monacelli, ove non mi faceano dormire, il mio guscio, un buco, nelle cucine,