La Grotta di San Giovanni Calybita. Un patrimonio da recuperare e da difendere
Testo e foto di Caterina Palmieri
A partire dai secoli VII-VIII, il monachesimo favorì l'incremento della popolazione di origine greca, soprattutto in Sicilia e Calabria, tanto che si parla di terza colonizzazione greca. Già nel corso del VII secolo è attestata in Sicilia la presenza di un certo numero di igumeni (in greco bizantino: “abati”), e quindi di monasteri greci. Sembra inoltre che Calabria e Sicilia durante l'VIII secolo siano state meta di immigrazioni di profughi orientali, vittime dell'iconoclastia, come dimostra il fatto che, tra il Consiglio di Nicea del 787 e quello di Costantinopoli dell'869, i monaci di Calabria erano tutti greci, provenienti dalle estreme province orientali dell'Impero come Siria, Palestina o Egitto.
A partire dai secoli VII-VIII, il monachesimo favorì l'incremento della popolazione di origine greca, soprattutto in Sicilia e Calabria, tanto che si parla di terza colonizzazione greca. Già nel corso del VII secolo è attestata in Sicilia la presenza di un certo numero di igumeni (in greco bizantino: “abati”), e quindi di monasteri greci. Sembra inoltre che Calabria e Sicilia durante l'VIII secolo siano state meta di immigrazioni di profughi orientali, vittime dell'iconoclastia, come dimostra il fatto che, tra il Consiglio di Nicea del 787 e quello di Costantinopoli dell'869, i monaci di Calabria erano tutti greci, provenienti dalle estreme province orientali dell'Impero come Siria, Palestina o Egitto.
I monaci, fuggiti da
Oriente via mare, giunsero in Italia
meridionale. Dalla Sicilia, prima terra raggiunta, attraverso lo Stretto giunsero e si rifugiarono nelle montagne del Reggino, risalendo via via
fino alla zona del Mercurion.
Il territorio impervio, aspro,
fatto di terreno facilmente escavabile, permetteva loro di scavare spelonche e
nascondersi al mondo. Qui potevano praticare l’ascesi, pregare, dedicarsi alla
trascrizione dei codici e a dipingere icone sacre, senza correre rischi. Questa
divenne la loro dimora.
Si trattava di eremiti ed
acemeti, in un primo momento, e la grotta era la loro casa.
Gli antri sparsi e disseminati
nel nostro territorio sono testimonianza di questa scelta di vita in grotta.
Uno dei luoghi scelti da questi
asceti orientali fu, appunto, Caloveto.
Il paese, “simile ad un vecchio
e stanco animale, è accovacciato su uno sprone di roccia”. Ma essa non è una
roccia qualsiasi, anzi: essa è una roccia speciale! È la roccia che ospita quella
che per noi calovetesi è l’origine di tutto, il punto da cui tutto nasce e dal
quale il paese diparte e si è allungato fino ad arrivare all’estensione che ha
oggi. Sto parlando della Grotta di san Giovanni.
Si tratta, in realtà, di una
laura eremitica, alla quale si accede attraverso un’apertura che immette in una
scalinata scavata nell’arenaria, oggi purtroppo solo parzialmente conservata.
In fondo alla scalinata, un
corridoio scavato nella roccia, una sorta di tunnel, conduce a quello che
rimane, oggi, di quel complesso.
Sono individuabili, lungo un
lato del tunnel, tre spelonche, una meglio conservata delle altre. Lungo le
pareti di esse nicchie, inginocchiatoi, frammenti di ciò che dovevano essere
giacigli in pietra e aperture verso la “timpa”.
Si respira santità, ascesi,
abbandono a Dio….
Il tunnel è crollato, andando
ad ostruire il passaggio e coprendo, con i suoi massi caduti, il pavimento
delle grotte e rendendo, quindi, difficoltosa se non impossibile la lettura
storica delle stesse nella sua complessità e completezza.
Quando, nel corso del mio
sopralluogo, sono arrivata al punto in cui i massi ostruiscono il passaggio,
sono stata assalita da sentimenti di sconforto e di rabbia, a causa della
consapevolezza che lo stato di conservazione è precario e rischiamo di perdere
questa memoria storica, corriamo il rischio reale di non poter più visitare i
luoghi scelti dagli acemeti per far vivere il culto di san Giovanni Calybita (il monaco che aveva un vangelo d’oro e
che visse da eremita in una caluba in un angolo del giardino della casa paterna,
a Costantinopoli, nel V secolo), e far nascere un’abbazia col suo nome, da cui
poi nacque Caloveto, che venera e ricorda, anche col suo nome, il suo Santo.
E dire che già l’abbazia è
andata perduta, esattamente come la Chiesa greca di san Giovanni Calybita,
annessa e collegata all’abbazia, in tempi di passaggio dal rito greco al rito
latino. La Chiesa è andata completamente distrutta, lasciando il posto ad un altro
edificio, un tempo municipio, poi scuola, ora casa delle suore, mentre l’abbazia
è stata trasformata nel palazzo signorile dei Pirelli, che ne hanno rispettato
la struttura e l’architettura, ma non il nome.
Il tunnel andato in gran parte
distrutto e che, crollando, ha trascinato con sé le grotte, dalla laura portava
proprio lì, nel chiostro di quell’abbazia tanto fulgida e ricca fino al XII
secolo, riconosciuta per un certo periodo, intorno al X secolo, una delle più
importanti e ricche dell’Italia meridionale.
Probabilmente lungo il suo
percorso fino all’abbazia vi erano altre grotte monastiche, a formare una sorta
di percorso interno degli acemeti….
Ma si tratta di congetture, di ricostruzioni
ipotetiche senza possibilità di verifica: i massi crollati negli anni, infatti,
interrompono quella passeggiata mistica e con quei massi, ahinoi, si interrompe
un pezzo della nostra storia, il più importante…
Considerata l’incuria degli
uomini, forse rimane soltanto di appellarsi a San Giovanni affinché salvi
almeno ciò che è rimasto. Senza testimonianze materiali la memoria orale non
basta per conservare e rinnovare la nostra storia.
Commenti
Posta un commento