Il miracolo di San Giovanni Calybita



di Sergio Caruso

Il 15 gennaio di ogni anno, a Caloveto, mio paese d’origine, si festeggia il Santo Patrono. Si chiama Giovanni detto il “calibita”, molto probabilmente perché ha vissuto in luoghi poveri o tuguri (in greco, appunto, kalýbe), e kalybita erano anche i monaci seguaci di San Giovanni che vivevano nelle grotte, primi insediamenti che hanno dato vita alla comunità di Caloveto. Devo dire che il paese in questo giorno vive in un’aura speciale, molto positiva. Incontri tante facce sorridenti e serene, che non sempre è facile vedere negli altri giorni dell’anno. È un giorno di festa e di devozione, del… “volimune bene”, e ci si riesce in pieno. È un miracolo di San Giovanni? Chissà!
Una cosa è certa, chi è lontano da Caloveto vorrebbe esserci a tutti i costi, ma non sempre ci riesce, dato che questo giorno cade proprio poco tempo dopo un lunghissimo periodo di vacanza; chi partecipa alla messa e alla processione per le vie del paese, rimane entusiasta e rigenerato da questo clima di serenità. Perciò invito chi è vicino, ma aspetta che il 15 capiti di domenica, di “sacrificare” un giorno di ferie o di scuola per non perdere l’occasione di vedere il proprio paese vestito a festa, sia nel suo aspetto fisico che nell’anima. È davvero un bel giorno per esserci.
Che i calovetesi siano molto devoti a San Giovanni lo si vede dal fatto che con grande frequenza legano a lui il nome dei propri figli: numerosissimi Giovanni figurano all’anagrafe (anche padre e figlio di chi scrive), e non c’è dubbio che Giovanni sia il nome più diffuso nel paese e che sia molto diffuso anche tra i figli dei calovetesi emigrati.

San Giovanni a Caloveto non c’è mai arrivato. È partito da Roma, dove era nato — così a noi piace credere — intorno al 426, per Costantinopoli, seguendo un monaco acemeta, ed è ritornato a Roma per morire — così narra la leggenda — nel cortile di casa sua senza che la madre e il padre lo avessero riconosciuto, venendo trattato come un mendicante. Solo dopo la sua morte, o in prossimità di essa, lo riconobbero per mezzo di un vangelo d’oro che lui teneva sempre con sé e che gli era stato regalato da bambino. Proprio a Roma, sull’isola Tiberina, la cappella dell’ospedale Fatebenefratelli è a lui dedicata.
Arrivarono da noi, però, i suoi seguaci e ospitarono, tra il 987 e il 993, anche un giovanissimo San Bartolomeo da Rossano.


Fino a circa 35 anni fa e per un periodo storico non ben definito, la festa si svolgeva due volte l’anno. Il 15 gennaio, che è la data della consacrazione della chiesa eretta a Costantinopoli in suo onore, e il 15 maggio. Quest’ultima data era nata in concomitanza della fiera del Trionto che oltre 40 addietro era molto popolare nel nostro paese, quindi San Giovanni veniva fatto “girare” anche nella fiera. Negli anni, però, sia la fiera che i festeggiamenti sono andati scemando e, per fortuna, la Curia diocesana ha annullato la data del 15 maggio.



Per dirla come in una canzone: “ Il Santo mio s’è fatto un nome onesto sul calendario, un giorno all’anno se ne va in processione, poi domani si richiude il portone, ma continua ad amare. Il miracolo è qui!”. Ecco, è proprio quest’amore che io sento in questo giorno. Quest’amore che continua ad alimentarsi, a coinvolgere, che ci fa ritornare in paese e che fa di San Giovanni il Nostro Santo. E per tanti che, come me, sono arrivati in un’altra parrocchia, anche se lontani, lontanissimi, non smetteranno mai di considerare il loro Vero Santo San Giovanni Calybita e di sentirsi per sempre e ovunque da lui protetti. Più miracolo di così!




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