Il poeta e la bambina



di Mariapia Romeo


Quando ero piccola mia madre mi ripeteva sempre di cogliere ogni occasione che la vita mi avrebbe riservato. Non era un semplice consiglio, era la supplica di chi non era mai riuscita a prendere quei treni che- per quanto rari- aveva visto passare davanti ai suoi occhi.        
E c’è un treno, in particolare, che non si perdonerà mai di non aver preso.  

1977. Mia mamma, Rita, aveva dieci anni e frequentava le scuole elementari di Oppido Mamertina (RC).    
Una mattina la maestra invitò i bambini a scrivere un tema o una poesia che avesse come argomento la loro terra, la Calabria. Per tutti i bambini si trattava di un momento di cui approfittare per fare un po’ di vacanza dalle solite lezioni, ma non per Rita. Lei amava scrivere, soprattutto poesie, perché la entusiasmava vedere come potesse cambiare il volto di chi la leggeva. 
E aveva deciso, infatti, di scrivere una poesia, in rima baciata, perché avrebbe permesso alla sua opera di prendere il volo, di divertire, di colorare paesaggi grigi che ai bambini- e non solo a loro- non piacciono molto.     
La poesia faceva così: 
     

La mia Calabria      


La mia Calabria ha dei prati fioriti     
ma ci sono i banditi       
dei banditi infuriati
che non guardano i prati.
Nei boschi ci sono fiori di mille colori,
ma ci sono anche i grandi malfattori. 
La polizia indaga per cercarli,
ma nessuno può trovarli,
perché i loro nascondigli non possono essere veduti       
dato che i briganti non sono sprovveduti.    
Ah, se non ci fosse questa cosa
la mia Calabria sarebbe meravigliosa! 

Il giorno dopo Rita scoprì che la sua poesia era stata selezionata per partecipare ad un Concorso Nazionale di Poesia, ma di quel concorso non seppe più nulla.  

Poco tempo dopo vide entrare nella sua classe un uomo molto elegante che cominciò a parlare con la sua maestra. Rita notò che la maestra guardava nella sua direzione, ma non osò nemmeno pensare che quell’uomo, i cui modi gentili e garbati lo collocavano in un’altra epoca, potesse essere lì per lei.       
Ed invece la maestra la chiamò alla cattedra e quell’uomo dallo sguardo dolce le tese la mano e si presentò: <<Ciao Rita, io sono Giuseppe Berto. Faccio parte della commissione del concorso al quale hai partecipato. Mi dispiace molto tu non abbia vinto, ma ci tenevo ad informarti che ho provato a lungo a convincere i miei colleghi che tu meritassi la vittoria. Purtroppo non ci sono riuscito, ma è in mio potere fare qualcosa di ancora più bello: la tua poesia sarà pubblicata in una mia opera che raccoglierà gli scritti di tanti altri autori>>.    
Rita non riusciva a dare il giusto peso alle parole di quel signore, per lei il regalo più grande era vedere la sua cara maestra fiera e felice: ecco finalmente un volto che lei era riuscita a cambiare!
Berto che, come mi racconta sempre mia mamma, riusciva quasi a leggerti dentro, continuò: <<Probabilmente adesso non riesci a capire che regalo ti stia facendo, ma un giorno lo capirai e ne sarai felice e ti ricorderai di questo momento>>.      
Berto invitò più volte Rita a raggiungerlo a Capo Vaticano, dove si era trasferito negli ultimi anni, probabilmente perché il vero regalo sarebbe stato un’occasione per coltivare il suo sogno.
Ma Rita non trovò mai il coraggio di chiedere ai suoi genitori o alla sua maestra di accompagnarla da Giuseppe Berto.    
Conservò per molto tempo la copia di quell’opera che Berto le aveva promesso e contenente una dedica per lei, finché gli anni non finirono per coprire di polvere quel ricordo e, con esso, quella copia che non riuscì più a ritrovare.

Nel 2010 mia mamma viene contattata dalla sua Scuola Elementare per partecipare alla riapertura del Concorso Nazionale di Poesia, che aveva avuto come padrino Giuseppe Berto e che si era concluso nel 1978 con la morte dello scrittore.  
Fu durante quella telefonata che riaffiorarono alla sua mente quei giorni in cui un ‘signore elegante’ le avrebbe fatto un regalo che avrebbe capito soltanto dopo. Adesso lo aveva capito, ma era tardi. Non avrebbe più potuto raggiungere Berto a Capo Vaticano ed accettare finalmente il suo regalo.      
Le parole che lo scrittore aveva speso tanti anni fa per Rita e per un’altra bambina, però, sono state custodite dagli organizzatori ed incise su una targhetta loro consegnata: “...Rimasi colpito da due componimenti di due bambine delle elementari. Secondo me essi non solo erano graziosi in sé, ma anche esprimevano delle istanze diverse da quelle delle generazioni precedenti...”.

Attraverso mia mamma e la sua storia, Giuseppe Berto ha conquistato anche me. Non soltanto per la grandezza delle sue opere, ma per la sua capacità di prestare attenzione ad una bambina di dieci anni che aveva avuto il coraggio di sperare che la sua terra potesse avere un futuro, anzi, un presente diverso da quello che lei stessa era già riuscita a vedere.


La casa di Giuseppe Berto a Capo Vaticano


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