Piero Bevilacqua, Il tradimento delle regioni meridionali


Riprendo due interventi dello storico Piero Bevilacqua, dedicati alla questione della "secessione" delle regioni ricche. Il primo è un articolo pubblicato su "Il Manifesto" il 31 gennaio 2019, il secondo è una lettera aperta inviata il 18 gennaio al Presidente della Regione Puglia. (tg)


L'anno prossimo le regioni a statuto ordinario compiranno mezzo secolo dalla loro istituzione e paiono intenzionate a celebrare la ricorrenza con il disfacimento della comapagine unitaria dello stato repubblicano. Com'è noto, e come hanno mostrato ormai tanti studi di singoli e di istituzioni autorevoli, l'autonomia differenziata del Veneto, e a seguire quella della Lombardia e poi delle altre regioni del centro-nord, in virtù della distribuzione differenziata delle risorse fiscali, frantumeranno il tessuto unitario (già compromesso) dei servizi pubblici (scuola, sanità, trasporti, assistenza agli anziani, ecc), dissolvendo di fatto la nazione italiana.E' del resto con il controllo parlamentare, e quindi unitario e collettivo delle risorse fiscali, che sorge lo stato moderno ed è con il loro uso territorialmente differenziato che lo si dissolve. Si potrebbe anche non fare un dramma di tale prospettiva, se l'Italia, paese cosmopolita sin dalle suo origini, avesse la prospettiva di approdare a una superiore unità europea. Ma è davvero alla portata una tale prospettiva? E' credibile in questa Europa regredita ai feroci nazionalismi del '900? E l'Italia avrà più carte in mano nelle ipotetiche, furure trattative europee, presentandosi frantumata nei propri particolarismi regionali?
Come Osservatorio del Sud siamo impegnati a creare iniziative e dibattiti nel territori del Sud per l'8 febbraio (ma sperando di continuare oltre, come faremo ad es. a Bologna), con vari incontri che si svolgeranno a Bari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Palmi, Reggio, Salerno e che avrà un momento importante di riflessione alla Sapienza di Roma, con il presidente dello Svimez, Adriano Giannola, Guido Pescolido, Gianfranco Viesti, Leandra D'antone, Umberto Gentiloni, Emanele Bernardi e il sottoscritto. Non mancano, infatti, al Sud, (ma anche al Nord, in condizioni difficili) tra le varie forze, dalla CGIL all'ANPI, dai militanti di Sinistra Italiana e di Rifondazione comunista, a tanti giovani del PD, alle associazioni culturali, le voci di allarme per quel che accadrà alla sanità meridionale, già in grande affanno rispetto agli standard del centro-nord, alle scuole e alle Università, sempre più sottofinanziate ed emarginate rispetto al resto del Paese. Ma se siamo incoraggiati dalla sensibilità e dall'impegno che ritroviamo in tanti ambiti della società civile, non possiamo tacere su una dato che sino a oggi ci sembra di estrema, incredibile, inaccettabile gravità: il silenzio dei presidenti delle regioni meridionali. Si tratta di un fenomeno politico di prima grandezza, da denunciare all'opinione pubblica nazionale per la sua enormità. Per il passato storico e per le prospettive future.
Per il passato, perché i governi delle regioni meridionali sono responsabili del fallimento storico di una delle più importanti riforme dello stato repubblicano. Il decentramento regionale avrebbe dovuto avvicinare i cittadini allo stato, accorciare le distanze gerarchiche tra governanti e governati. Nel Sud, di fatto, ha avvicinato il ceto politico alle risorse pubbliche, creando fortune clientelari di correnti e capipartito, e contribuendo in parte anche all'erosione dell'etica pubblica dei partiti politici. Essi, insieme per la verità ai governi di tante altre regioni del centro-nord, non solo sono in buona parte responsabili della crescita del nostro debito pubblico, ma hanno mostrato (tranne alcuni casi virtuosi come la Puglia di Vendola e l'Abruzzo) una clamorosa incapacità di gestire le risorse pubbliche all'interno dei nuovi meccanismi di erogazione creati dalUnione Europea. Con grave danno alle popolazioni meridionali.
Oggi, di fronte alla minaccia così grave di una legge che apre prospettive fosche di regressione sociale e civile al nostro Mezzogiorno, di dissoluzione dei vincoli che hanno tenuto unito il Paese, i governati meridionali tacciono. Pensano di avvantaggiarsi incamerando, a loro volta, una maggiore autonomia dallo stato centrale? Sperano di avere mani libere e continuare, con più agio, con maggior potere sui comuni, a perseguire le proprie personali fortune politiche?



Lettera aperta al Presidente della Regione Puglia

Caro presidente Emiliano,
come ben sa, il governo in carica, sotto l'impulso del partito della Lega, è in procinto di varare una legge che assegnerà alla regione del Veneto autonomie in ben 22 due materie e soprattutto uno regime fiscale privilegiato. Quanto questo passo sia gravido di conseguenze per le regioni del Mezzogiorno, e per la tenuta futura dell'intera impalcatura del Paese, è stato denunciato da più parti. Anche da istituzioni autorevoli e indipendenti come l'Istat e lo Svimez. Dunque non entrerò analiticamente nel merito di questa proposta che lei certamente ben conosce, né delle tante prevedibili conseguenze della sua applicazione. Anche se è il caso di rammentare che forse solo in Italia, tra i Paesi UE, accade un così singolare pervertimento di un dogma del pensiero liberista, disciplinatamente seguito, negli anni, da tutti i governi della Repubblica. Vale a dire la ritirata dello Stato da ogni ingerenza nella vita economica, da lasciare, senza lacci e laccioli, come diceva qualcuno, alle libere forze del mercato. Nel caso della legge in questione si fa un passo ulteriore . Ora lo stato non si limita a contenere le disuguaglianze con una politica fiscale che contenga in qualche modo le spinte disgregatrici del mercato, ma prende esso stesso l'iniziativa per creare disparità e disuguaglianze tra i territori e i cittadini del nostro Paese.
Mi permetto di ricordarle questo, caro presidente - da storico che ha passato una vita a studiare il nostro Stato nazionale e soprattutto il nostro Sud - che lo stravolgimento istituzionale in progetto potrebbe avviare il declino irreversibile dell'Italia.Alcuni processi politici, una volta avviati, diventano irreversibili. E viene in mente a proposito il nostro Machiavelli, che alle "cose di stato" applicava le metafore del corpo e delle malattie. Per cui, ricordava il grande Fiorentino, vi sono malattie che "nel principio è facile a curare e difficile a conoscere: ma nel progresso del tempo, non avendo nel principio conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare".
Perché mi rivolgo a lei? Perché lei non è solo il presidente di una delle Regioni più dinamiche dell'Italia meridionale, ma è anche un'autorevole figura politica di rilievo nazionale. Non solo, ma essendo lei un presidente non certo chino sulle carte, e anzi capace di iniziative coraggiose alla testa della popolazione che governa, rappresenta volente o nolente, un punto di vista politico-istituzionale di prim'ordine. Che lo voglia o no, caro presidente, il suo silenzio in questo momento, su questo gravissimo progetto legislativo, suona come acquiscenza e accettazione. Forse peggio, può essere interpretato come miope interesse di breve periodo, dettato dal calcolo di potere ottenere in cambio maggiore autonomia nel governo della Puglia.
Mi permetto di dire che lei dovrebbe fugare al più presto tali sospetti. E che anzi molti si aspettano da lei una iniziativa energica, com'è nel suo stile e nelle sue capacità, in difesa delle ragioni di tutto il Mezzogiorno. Le quali, mai come in questo caso, coincidono con quelle dell'Italia tutta intera.
Con i più cordiali saluti



Piero Bevilacqua



PS. Al seguente link è possibile scaricare gratuitamente il libro di Gianfranco Viesti, Verso la secessione dei ricchi?
VIESTI, Verso la secessione dei ricchi?

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