L’IPOCRISIA DELLA “GRANDE OPERA”
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di Tommaso Greco
Premetto che non ho alcuna pregiudiziale nei confronti del Ponte sullo Stretto: né ideologica, né ambientalista, né romantico-sentimentale, anche se certamente rovinerà una delle viste più incantevoli della penisola (perciò andate a Scilla prima che lo costruiscano, se non ci siete mai stati: l’unica cosa che rischiate è che, se siete favorevoli al Ponte, potreste ripensarci).
Non solo non ho pregiudiziali, ma concedo al governo la credibilità di tutte le sue buone intenzioni e di tutte le previsioni sulla sicurezza, sulla tenuta tecnica, sulla previsione delle spese. Non userò quindi, alcun argomento tra quelli che sono oggetto di discussione in questi giorni.
Mi soffermerò su un unico punto: l’ipocrisia di pensare che, fatto il Ponte, si siano risolti i problemi di cui siciliani e calabresi soffrono cronicamente con riguardo ai trasporti e allo sviluppo. Questo non è un intervento “di teoria” ma “di esperienza”. Perciò parlerò di cose che conosco e vivo personalmente, e che sono in gran parte estensibili ad altre aree del meridione.
Vivendo per la maggior parte dell’anno a Pisa, sono un cittadino di serie A+. Raggiungo l’aeroporto in 14 minuti di bicicletta, vado alla stazione dei treni a piedi e da lì mi muovo per andare ovunque in Italia. Ovunque, purché si tratti di un luogo raggiungibile con l’alta velocità o con gli aerei. Se invece voglio andare in Calabria, a trovare mio padre nel paesino in cui sono nato e cresciuto, o in altri luoghi che non siano nei pressi dell’aeroporto di Lamezia Terme, mi trasformo immediatamente in un cittadino di serie Z. Non solo non c’è modo di avvicinarcisi con un treno di AV, ma non ci sono nemmeno più i treni “di una volta”, quelli che fino a trent’anni fa collegavano la costa jonica con Roma, Milano e Torino, e che ad esempio permettevano di prendere un Intercity a Rossano Calabro alle 9 di mattina e arrivare a Pisa alle 19, dopo solo 10 ore di viaggio.
L’aeroporto di Lamezia è a tre ore di macchina, e lo stesso per quello di Bari.
La strada che costeggia lo Jonio, la s.s. 106, altrimenti conosciuta come “strada della morte”, attraversa la lunga serie di aggregati urbani che gli sono cresciuti intorno a partire dagli anni Cinquanta, e rende impossibile qualunque spostamento di una certa importanza. Tra l’altro, si rischiano multe ogni 10 km.
Chi vive al Nord e deve andare al Sud, ad esempio gli studenti universitari, aveva a disposizione fino a qualche anno fa diverse possibilità. Aziende di trasporti che si facevano concorrenza e che garantivano percorsi quotidiani a prezzi più che accettabili. Da quando la “concorrenza” sulle licenze ha premiato un noto operatore internazionale, diventato di fatto una specie di monopolista, è stato un disastro. Tratte rimaste scoperte (da Pisa, ad esempio, le tratte dirette per Rossano sono quasi scomparse), prezzi altissimi nei periodi più caldi, viaggi che durano a volte il doppio di quanto duravano un tempo.
Tornando alle ferrovie, tra Taranto e Reggio Calabria si viaggia ancora a binario unico e con treni a gasolio.
Questa è la situazione. Ora ditemi cosa cambierà la “Grande Opera” per la vita quotidiana dei calabresi (e di tutti coloro che vivono in territori dove la cittadinanza si avvicina più alla serie Z che alla serie A).
Conclusione: il Ponte sarà accettabile quando siciliani e calabresi avranno almeno la metà delle possibilità di spostamento garantita al resto degli italiani.
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