Pensare il Sud
Una breve riflessione a partire da F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1995.
Qualche settimana fa, un mio amico mi raccontava,
indignato e umiliato, un servizio mandato in onda dal Tg2. Per commentare la
solita relazione dell’Istat sulla ricchezza delle nostre regioni, la pubblica
informazione non aveva trovato di meglio che far vedere, per la regione più
ricca (la Valle d’Aosta), una via splendente di negozi e vetrine, attraversata
da frettolose signore in pelliccia; per la regione più povera (la Calabria),
una vecchietta, vestita di nero, che lentamente trascinava il suo passo,
portando sulla testa una fascina da mettere al fuoco. Il mio amico mi
raccontava tutto questo e io ero felice. Sentivo che la sua rabbia non era
dovuta al fatto che non avessero mostrato i negozi e le vie trafficate, che
pure ci sono in Calabria; quella rabbia derivava dal non veder riconosciuta la
dignità di un’altra forma di vita. Con un bellissimo atto d’orgoglio e senza
alcun vittimismo, egli difendeva sua madre e mia madre, donne dal passo lento e
che portano il lutto.
Ma a che serve spiegare quel passo, quel nero perenne,
quello sguardo rassegnato sul mondo? Chi li conosce non ha bisogno che gli
vengano detti, e per chi non li conosce non ci sono parole che bastino. Rino
Gaetano, il giovanotto strambo e irriverente venuto dal Sud, cantava la sua
terra e diceva: «Ma come fare non so / sì devo dirlo, ma a chi? / Se mai
qualcuno capirà / sarà senz’altro un altro come me».
Qualcuno però ogni tanto ci prova: un racconto, un
film, un romanzo. Lo ha fatto Gianni Amelio, col pudore di chi certe cose le
vive e ne conosce i meccanismi intimi e fragili. E’ incredibile però che ci
abbia provato uno studioso, un sociologo, Franco Cassano, il quale per
rivendicare la dignità di quest’altra
forma di vita ha scritto un libro intitolato
Il pensiero meridiano (Laterza, 1996, pp. 145, £ 20.000).
Cassano vuole che il Sud torni ad essere “soggetto del
pensiero”, che recuperi il massimo di autonomia, scrollandosi di dosso quella
visione che ne fa esclusivamente un esempio di mancata e distorta
modernizzazione. Certo, si soffre nel vedere il Sud lanciato in questa folle
rincorsa, in cui ogni minima risorsa locale viene vanificata e annullata oppure
«venduta all’incanto». Certo, il Sud non è solo un paradiso turistico o un
incubo mafioso, è qualcosa di più e di diverso, ed è per questo che l’invito di
Cassano non può essere accolto senza un tremore dell’animo: con la paura, cioè,
che non sia possibile difendersi fino in fondo, che una civiltà sia destinata a
perire. Siamo lontani da qualsiasi apologia del Sud come tale; e tuttavia c’è
fermezza nel difendere una identità che ancora resiste: «il Sud, con la sua
lentezza, con tempi e spazi che fanno resistenza alla legge dell’accelerazione
universale può diventare una risorsa e quindi il collegamento tra i sud sottrae
il pensiero ai luoghi dove oggi esso ama assidersi e star comodo, alla forza di
gravità del conformismo moderno» (p. 5).
Il dito di Cassano è puntato giustamente contro il
monoteismo della tecnica, ed è il nome dell’avversario che purtroppo ci fa
temere sicura sconfitta, dal momento che a destra e a sinistra quello
dell’innovazione tecnologica come risorsa del futuro e ancor più come via per
la redenzione del Sud è certamente il pensiero dominante. In fondo non sarebbe
altro che un problema di tolleranza, e se i tanti presunti liberali che
continuano a tenere conferenze e scrivere libri si ponessero il problema della
applicazione oggi di quegli antichi princìpi, capirebbero che
il fondamentalismo da controllare è quello dell’ economia e della tecnologia, e
cercherebbero forme di convinvenza con «società rette da diversi princìpi
organizzativi», con culture che non siano fondate sul “dinamismo ininterrotto”
e sulla “produzione illimitata”.
Difficile, ovviamente, dare soluzioni, e Cassano non
può andare oltre l’invito a ritrovare all’interno dell’Occidente «imperativi
capaci di contrastare efficacemente il progredire crescente della
mercificazione» (p. 76). Ma è inutile chiedere senso della misura a chi ha
dimostrato di non conoscere il problema del limite. Il pensiero meridiano ha pagine appassionate su questo “Senso della
Misura” come cifra che il Sud non ha ancora smarrito, come dono del suo essere
a contatto col mare: proprio il mare, il mondo fatto di acqua, in cui il Sud si
immerge, rappresenta il luogo «dove i diversi si toccano, e la partita del
rapporto con l’altro diventa difficile e vera» (p. 6). Impossibile anche solo
tentare di riassumere la ricchezza di spunti e di riflessioni che il mare
produce in Cassano. Possiamo solo rallegrarci del fatto che qualcuno ancora ci
inviti a rigenerare nelle acque la nostra identità, a fronte di tanti che
temono come la peste la possibilità di un’Italia risucchiata nel Mediterraneo;
salvo, poi, partire per venirsi a sciacquare, a mondarsi dalle brutture delle
loro città.
E se è giusto dolersi, come fa Cassano, del fatto che
la folle corsa verso la ricchezza ha prodotto anche al Sud interesse esclusivo
per il benessere privato, trasformando il luogo pubblico in una entità
residuale, è pur vero che il Sud delle poche città e dei molti villaggi non ha
ancora perso del tutto il gusto di incontrarsi nelle piazze e nelle strade, mostra ancora
interesse per il contatto tra uomini. Porte
aperte, probabilmente, non è il titolo di un romanzo, né il ricordo di un mito al
quale un potere disumano aveva legato la propria legittimità: quelle cordicelle
legate a porte colorate ed austere, non misere, ci ricordano che basta poco per
entrare in confidenza, che non esiste la paura di vivere. E questo proprio in
una terra che molti credono abitata dai diavoli! Perciò si deve sperare e si
può incoraggiare l’appello di Cassano. C’è ancora qualcuno che vuole continuare
a sedersi sugli usci delle case, che vuole passare così le sere d’estate: essi
non permetteranno che vetrine illuminate diventino padrone dei passi degli
uomini.
(Franco Cassano e Sergio Caruso - Festival "La luna e i calanchi" - Aliano, agosto 2013)
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