Vittorio in Via C



di Tommaso Greco

Ci sono persone che più di altre rappresentano un mondo e, quando queste persone se ne vanno, è forte la sensazione che con loro se ne vada pure il mondo che rappresentano. Al mio paese, l'altra sera, è morto Vittorio il postino, anzi, per essere più precisi, "Vittoriu u posteru". Prima di lui, appena il giorno prima, era morta Raffaella Salerno: lo dico non solo per ricordare una mia vicina di casa, madre e nonna di amici carissimi, ma perché nel mio paese nessuno muore mai solo; chi muore se ne porta via sempre qualcun altro. Evidentemente siamo un popolo abituato alla compagnia e non alle imprese solitarie.


Comunque, la notizia è che anche Vittorio il postino è morto -- uno dei tanti morti che non ho potuto onorare andando al loro funerale -- e con lui sembra se ne vada quel mondo nel quale ancora scrivevamo lettere e cartoline e attendevamo per giorni che cartoline e lettere arrivassero da lontano. Certo, c'erano anche le bollette e le altre cose -- Vittorio portava anche quelle; ma le lettere erano una cosa speciale. Erano una cosa che si aspettava e che esercitava alla pazienza. Ora non siamo più abituati a quell'attesa; così come non siamo più abituati alla fatica di decifrare la scrittura dell'amico o della fidanzata e al piacere di rileggere quelle parole fisicamente contorte che si aprivano a significati inattesi.



Quando Vittorio arrivava in via C aveva già fatto un lungo per-corso. Era stato al Pedale e al Gentile e poi era risalito verso via Trieste, per ridiscendere verso la via che dava accesso al paese; via C, appunto, la via in cui abitavo. "Via C": questo era il nome che le era stato dato dal Comune, in attesa di trovare un nome più consono. Io mi vergognavo di dare quell'indirizzo e mi ero inventato che abitavo in via Nazionale: Vittorio lo sapeva e mi consegnava ugualmente la posta, dicendomi ogni volta, scherzando: "ma quale via Nazionale? Da dove l'hai presa questa via Nazionale?". Quando poi andai all'Università, e dovetti dare l'indirizzo ufficiale, agli uffici del Diritto allo studio mi chiesero per scherzo se abitavo in un lager. (Ad ogni modo ora la via è intitolata a Sandro Pertini, il che che mi sembra non soltanto una bella notizia ma anche un adeguato risarcimento per chi, per lunghi anni, ha dovuto abitare in una strada che non era degna nemmeno di avere un nome qualunque; ora quella strada porta il nome di uno dei pochissimi politici degni di stima nella storia italiana).



Vittorio arrivava e chiamava dalla strada, attendendo che si aprisse la porta. Non suonava il campanello perché, quasi sempre, il campanello non c'era. Le nostre case sono state senza campanelli fino a ieri; e non è un caso: i campanelli sono un simbolo di solitudine perché dicono a chi vuole venire in casa nostra che deve prima annunciarsi e chiedere il permesso di varcare la soglia; io ricordo che un tempo bastava tirare un laccetto che sbucava dalla porta, lasciato lì apposta per invitare ad entrare.



Non aveva mai fretta, Vittorio, anche se aveva molto da fare, e anche se camminava sempre e soltanto servendosi dei suoi piedi veloci. A volte si sedeva sul muretto davanti a casa per riposarsi e scambiare due parole, ma subito ripartiva, chiamato dal dovere e dall'attesa dei compaesani. Non ricordo mai una sua battuta malevola né una confidenza pettegola; consegnava la posta sempre col sorriso e spesso la accompagnava con una battuta. Non credo, peraltro, che mi abbia mai chiamato per nome; usava storpiare un poco il nome di mio padre e quello bastava a me e a lui per una identificazione non equivoca.


Da tempo non lo incontravo più nelle rare discese in paese. Era malato. Spero che la pioggia battente che ha accompagnato la sua ultima traversata del paese non gli abbia impedito di salutare una per una quelle porte solitarie che conosceva così bene.




Commenti

  1. L'attesa di quelle lettere ancora la ricordo e ancora spero che accada ancora...Scelgo gli articoli dall'archivio e ogni volta sembra esserci lo zampino del Fato...per farmi commuovere e ricordare e ritrovarmi. Anche a distanza. Grazie, Tommaso, per queste tue scritture!

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