San Giovanni Calibita e il suo monastero a Caloveto
di Caterina Palmieri
Foto di Sergio Caruso
“Se papa Francesco avesse
conosciuto la vicenda di san Giovanni Calibita, sicuramente avrebbe scelto come
nome Giovanni”. È bastata questa espressione, scelta dal professor Burgarella
come incipit della sua conferenza, per far capire ai tanti intervenuti nella
chiesa di san Giovanni Calybita a Caloveto la sera del 13 gennaio che la
relazione del docente dell’Università della Calabria sarebbe stata a suo modo
rivoluzionaria.
Nutrita la partecipazione di
pubblico, a questa che è la prima
conferenza organizzata dal Laboratorio Camenzind e dalla parrocchia di san
Giovanni Calybita. Il tema e il nome del relatore, uno tra i massimi esperti
europei di storia bizantina, ha portato a Caloveto molti appassionati provenienti non solo da Caloveto, ma anche
dai centri vicini e che hanno dimostrato grande attenzione ed interesse,
soprattutto nel dibattito che è seguito alla conferenza.
Ad introdurre la relazione il
saluto di don Massimo Alato, che si è detto onorato e felice per questo evento,
inserito a pieno titolo all’interno delle celebrazioni in onore di san Giovanni
e ha riferito i saluti del sindaco di Caloveto, assente per altri impegni, e
della dott.ssa Caterina Palmieri, membro del Laboratorio Camenzind, che ha
introdotto la relazione di Filippo Burgarella, tracciandone un breve curriculum
e anticipando alcuni temi della conferenza. Prima della conferenza, la dott.ssa
Palmieri ha anche letto il messaggio del prof. Tommaso Greco, docente di
Filosofia del Diritto all’Università di Pisa ma di origini calovetesi, ideatore
del Laboratorio, nel quale si ritrovano cittadini e studiosi appassionati – non
solo calovetesi, ma sparsi nel territorio jonico-silano e, in certi casi,
residenti fuori regione -- che vogliono rilanciare, attraverso la cultura, la
propria terra, la propria storia, la propria tradizione.
Il Professor Burgarella, titolare
della cattedra di Storia Bizantina all’Università della Calabria, ha
ripercorso, con una bellissima ed intensa relazione durata all’incirca un’ora, le tappe fondamentali della vita del santo di
Costantinopoli, così come tramandata dal Bios,
collegandola con il tempo in cui visse, il V secolo, quando la città del
Bosforo era capitale dell’Impero bizantino.
San Giovanni disprezzò la
ricchezza, considerata da lui, su esempio di Giovanni Crisostomo, come un fatto
demoniaco, e allora preferì farsi mendico, rinunciando ad una carriera
ecclesiastica che a lui, terzogenito di una famiglia di alto rango, era
destinata e preferendo vivere fino alla morte, sopraggiunta per denutrizione e
stenti in giovanissima età, in un tugurio sotto il portico della casa paterna (da
qui l’epiteto Calibita, avendo come
unico bene un evangeliario d’oro).
La fama di questo santo abitante
del tugurio dovette essere notevole nel medioevo, se il suo culto si propagò in
Francia (a Besançon è conservata una sua reliquia) e a Roma (sull’Isola
Tiberina una chiesa, adiacente all’ospedale Fatebenefratelli è dedicata a lui e
custodisce un’altra reliquia del santo). Il santo francese Alessio ne fece il
suo esempio. Ed è proprio il santo francese ad aver fatto da tramite tra san
Giovanni e san Francesco d’Assisi, che sappiamo essere solito leggere le
ballate di sant’Alessio, in un filo conduttore ideale, che ha fatto dire a
Burgarella che in realtà san Giovanni è precursore del “poverello d’Assisi”.
Ma è Caloveto che costituisce il
fulcro del culto del santo, rappresentato nell’iconografia tradizionale come
acemeta (non dormiente), in quanto prima di fare la scelta di diventare
mendicante era entrato nell’ordine degli Acemeti, in un monastero presso
Costantinopoli.
A Caloveto, dunque, tra la fine del
IX e l’inizio del X secolo nacque un monastero dedicato al Calybita, coevo del
monastero di san Luca, in Beozia, nel quale è raffigurato san Giovanni
Calybita, dal quale deriva il nome stesso del paese presilano, che in dialetto
è chiamato Caliviti.
Il monastero dovette godere di un
certo prestigio se il fondatore dell’abbazia di Grottaferrata, Bartolomeo di
Rossano, autore del bios di san Nilo, opera di notevole pregio letterario,
scelse di ricevere qui la sua formazione.
Nel sinassario orientale, Giovanni
è detto il Calybita, povero e possessore del Vangelo d’oro.
Non sappiamo dove sia finito questo
evangeliario, che doveva essere preziosissimo, ma tra le varie ipotesi di
provenienza del Codex di Rossano c’è Costantinopoli. E se fosse lo stesso?
La conferenza di Burgarella si è
conclusa con questo quesito provocatorio. Da qui forse si potrebbe ripartire
per uno studio approfondito, per verificare se un’ipotesi suggestiva non possa
coincidere con la verità. Una verità che potrebbe essere “sconvolgente” per il
tranquillo e appartato centro delle colline dell’alto jonio.
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