Manifesto per la Calabria

di Vito Teti

[Vito Teti ha scritto un intervento intitolato “La Calabria se ne va”, frutto di riflessioni amare, talora sconsolate. Ma le parole dell’antropologo calabrese sono anche segno di una speranza testarda che appartiene ancora alla maggior parte dei calabresi, i quali continuano a credere che la loro terra non sia definitivamente perduta. Proprio per questo, propongo di leggere l’intervento  di Teti come un vero e proprio MANIFESTO PER LA CALABRIA che ispiri i pensieri e le azioni dei tanti calabresi di buona volontà (Tommaso Greco)].



In dieci anni la Calabria ha perso 178.923 abitanti su una popolazione residente di appena 1.976.631 persone. Dopo la Campania, che però ha un'elevata densità e diecine di città e grandi centri, la Calabria è la regione che più si svuota. 
La Calabria si sfarina, si frantuma, si sgretola, diventa un deserto. Crisi demografica e nuova grande emigrazione rendono una tradizionale “terra in fuga” in “terra già fuggita”. 
Gli abitanti dei paesi interni si aggirano come ombre e fantasmi in attesa del peggio. I calabresi che resistono sono spaesatai nei paesi, esuli in patria, stranieri a loro stessi. Apatici e increduli. Litigiosi e speranzosi. Rassegnati e testardi. Distratti e accorti. Indifferenti e vigili. 
La terra che ha sopportato invasori e conquistatori, terremoti e frane, malaria e latifondo, baroni e criminali, corrotti e malfattori, adesso fugge, non ce la fa più, non ha più voce nemmeno per chiedere.
La terra che ha sopportato esodi e fughe di centinaia di migliaia di persone che hanno costruito tante Calabrie altrove, adesso si sta estinguendo e dissanguando. I nati sono meno di quelli che muoiono, partono, arrivano. Non siamo pessimisti e non siamo disfattististi: leggiamo le analisi e i dati, giriamo nei paesi e camminiamo nelle strade, nelle campagne, negli abitati belli e desolati. Abituata alla melanconia di mille catastrofi, la Calabria non resiste alla tristezza della fine. E tristi e soli appaiono i suoi paesi dell’interno e anche i centri costieri, pieni soltanto poche settimane d’estate. Il vuoto è subentrato al pieno. 
Ci sono giovani e abitanti che resistono, non si rassegnano, non vogliono andare via. Non vogliono perdere luoghi e memorie, affetti e speranze, paesaggi e anima. Tentano, con fantasia e con passione, di riempire il vuoto, ascoltano il clamore del deserto e sognano, inventano, fanno. Chi vuole ascoltare?
Sono note le storie e le vicende, ma ben vengano le riflessioni, le analisi, i progetti. Si evitino le passarelle, le retoriche, le belle parole. Il problema è enorme, non è solo calabrese, riguarda le zone interne dell’Italia: è demografico, economico, culturale, morale. Servono impegni concreti e iniziative immediate, di media e di lunga durata. Con un’idea del futuro.
Non servono eroi, non colpevoli e responsabili, né condanne e assoluzioni, ma si dica qualcosa, si faccia qualcosa. Qui e ora, oggi, servono parole concrete e vere, progetti credibili e mirati. 
Qualcuno, ognuno, faccia qualcosa, dica qualcosa, alimenti la speranza, mostri che siamo disfattisti, ci inchiodi alle nostre inadempienze, ci inviti al martirio e al sacrificio. Alle nostre responsabilità. Ci affidi compiti e priorità, ma, per carità, faccia qualcosa che non sia la solita lamentala. Nella terra delle grandi Utopie (di Giocchino e Campanella, Francesco da Paola, Alvaro) forse oggi bastano utopie minimaliste, piccoli gesti quotidiani, pratiche fantasiose possibili come quelle di Mimmo Lucano e di tante e tanti che agiscono, operano, sopportano, faticano e inventano in silenzio, in letizia, con garbo e sobrietà, con umiltà e generosità, senza nulla chiedere e tanto donare. 
Di promesse non mantenute, di annunci sempre uguali, di elenco di opere miliardarie, di inviti ad accorgerci delle mgnifiche sorti e progressive che ci attendono, di risse per dividere la torta, di litigi per conquistare posizioni, di spartizioni camuffate per lotta politica, di nastri che verranno tagliati, di grandi opere che verranno inaugurate: di queste cose potrebbe morire la Calabria. Chi governa e decide racconti cosa intende fare e come, con quale idea e con quali soggetti. Come pensa di impiegare per un progetto di rinascita i tanti fondi che arrivano dalla Comunità europea. Con chiarezza, discutendo, coinvolgendo gli abitanti che non vogliono essere dei morti viventi o delle anime morte. 
Noi dobbiamo deciderci, diceva Franco Costabile, non possiamo raccontarci favole. 
Non possiamo più aspettare, stare silenziosi per paura che arrivi il peggio. Siamo già al peggio.
Non possiamo diventare complici di chi fa morire la Calabria. 
Non vogliamo più medicine che ritardino la morte, palliativi che arricchiscono falsi medici curanti al capezzale del moribondo, non vogliamo esteti delle rovine che versano lacrime sulle catastrofi e intanto fanno fortuna, non vogliamo inquietanti pratiche di eutanasia. 
Vogliamo cure vere, riguardo, amore. 
Vogliamo vivere e scegliere se andare o restare, se partire o tornare. 
Vogliamo accogliere chi arriva ed essere accolti quando torniamo. Vogliamo riempire il vuoto, guardare il mare e le nuvole, salvare il paesaggio, costruire una bellezza di rapporti, legami, affetti che rispetti la bellezza che la natura e il Signore ci hanno consegnato. Non possiamo rinunciare. 
Non possiamo tradire la terra e la storia, i padri e i figli, le madri e le figlie. Adesso. 
La Calabria se ne va, ma noi dobbiamo pensare e sperare che possa farsi avanti la Calabria che resiste, che resta, che vuole vivere.

Commenti

  1. Grazie. Per quello che fate. Con stima ed amicizia e la speranza che ci si possa incontrare. Un abbraccio a tutti

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    1. Caro Vito, ti seguiamo con interesse e con affetto. Lavoriamo insieme per una Calabria migliore.

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