“Cchi mi cunti?” Tre forme del radicamento nei racconti di Mimmo Bitonto

di Tommaso Greco Alla memoria di zu Giuseppe Mazza, grande cuntastorie di Caloveto Michele Tucci - Crosia La raccolta di racconti appena pubblicata da Mimmo Bitonto — Cunta cu (Edizioni Città del Sole, Reggio Calabria) — ha un titolo bellissimo e familiare. Quando noi calabresi incontriamo qualcuno gli chiediamo sempre “cchi mi cunti?” (“cosa mi racconti?”). Dice giustamente Pierpaolo Cetera nella prefazione al volume che l’espressione “cunta cu” è da intendere come «un invito, un’attesa». Ciò significa che ‘cuntare’ è attività che implica l’esistenza di una relazione, e per questo dire a qualcuno “cchi mi cunti?” è un modo per ristabilire una relazione interrotta dalla distanza o dal tempo, per creare una complicità, magari anche solo momentanea. Ma cuntare è anche un tramandare , consegnare qualcosa a qualcuno perché lo possa custodire, e magari lo consegni a sua volta a qualcun altro. Anzi sappiamo bene che quando una cosa l’abbiamo cuntata , essa è po...