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Visualizzazione dei post da 2014

Natale in paese

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"...e arriverà Natale, anche quest'anno arriverà. Natale per chi resta, per chi va. Natale da una lira, Natale ricco o no... bambini per un giorno, per un po'..." Nei piccoli paesi - come il mio - il Natale si aspetta, soprattutto, perché ritornano i parenti che per motivo di studio o di lavoro sono stati costretti a spostarsi verso il nord. Ritornando loro ritorna la gente, si ripopola il paese, c'è movimento, si ritrovano gli amici, le famiglie si ricompongono. Almeno un tempo era così, forse oggi un po' meno... il paese non si ripopola come prima, chi lavora non ritorna, gli amici escono di rado. Il destino di un paese è anche questo: restare solo con i propri ricordi scritti tra le case diroccate, i vicoli poco illuminati, le luci ad intermittenza che non si accendono più. Si è modernizzato anche il Natale, le novene sono poco frequentate, gli alberi in mezzo alle piazze sono di acciaio tempestati di led (per fortuna nel mio paese c'

Lucario, ovvero il miracolo della stazione eretta (Mimmo Bitonto)

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Sulla pagina Facebook del Laboratorio è possibile leggere un racconto di Mimmo Bitonto, che siamo onoratissimi di ospitare e diffondere. Un ringraziamento a Mimmo per averci fatto questo regalo. Grazie anche ad Adriano Romano per averci fornito la foto e il Presepe, a corredo del racconto. 

Omaggio a Matera

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In occasione della proclamazione di Matera come capitale della cultura per il 2019 pubblico alcune foto scattate in quella meravigliosa città nel 2011, insieme ad un testo straordinario di Franco Arminio, tratto da "Geografia commossa dell'Italia interna" (Bruno Mondadori, Milano 2013). Per le foto: https://www.facebook.com/tommaso.greco.186/media_set?set=a.10204378642337732.1073741832.1580546719&type=1

Una serata per le vie del Pedale

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Sicché, una sera, abbiamo preso e siamo scesi al Pedale. Non come lo si era fatto tante volte “per andare a vedere com’era prima il paese”, oppure, come si sarebbe tentati di fare, per usarlo come una scenografia pittoresca per una serata da cartellone; bensì per sentire realmente, dopo tanto tempo, cosa avevano da dirci ancora le sue pietre, e per attraversare i suoi vicoli stretti sapendo che da lì arriva una voce che ci appartiene. Eravamo quattro amici al bar, potremmo dire, visto il modo un po’ rapido in cui abbiamo organizzato questa passeggiata “paesologica”, ma in realtà si è trattato di una serata che covava da tempo. Covava, non nelle nostre nostalgie, ma nei nostri pensieri rivolti al futuro, nella caparbia convinzione che a quei muri, a quelle case, a quelle ‘vinelle’ bisognasse ritornare per capire chi siamo, partendo proprio da ciò che sembra solo decadente e perduto. Ripensandoci, siamo scesi al Pedale non per quello che c’è, ma per quello che non c’è. Citando Franc

Pianosa

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Pianosa, in fin dei conti, non è che uno dei mille paesi abbandonati; uno dei tanti che l’Italia può permettersi di gettare nell'immenso calderone dello spreco. Se l’isola ha potuto conservare intatta la sua natura, come noi oggi la vediamo (ma solo tramite visite guidate), è grazie al carcere che essa ha ospitato, anzi che essa ha costituito col suo corpo tutt’intero, per tanto tempo. Ora che il carcere è chiuso e il paese è stato abbandonato, tra le case si sente soltanto qualche voce chiamata a sorvegliare sulle macerie di quella che fu la colonia penale. I detenuti di Porto Azzurro in semilibertà, che vengono qui a fare lavori di manutenzione e di assistenza, si mischiano ai turisti, ammessi per ora in numero limitato. La passeggiata tra le case diroccate permette di udire voci senza suoni, appartenute a coloro ai quali sono state dedicate le vie che si percorrono. Qui tutto è silenzio: un silenzio che ora dice soltanto sofferenza e solitudine, e chissà, domani, potrà dire a