Quel che resta dei paesi
di Tommaso Greco
L’Italia è un Paese
fatto di paesi, ma ce ne dimentichiamo quasi sempre, salvo quando si tratta di cedere
al sentimentalismo e alla retorica concorsualtelevisiva dei ‘borghi più belli’.
Ma proprio questo ricordarsene nelle occasioni sbagliate rivela il nostro
rapporto malato col territorio e con ciò che lo ha reso — almeno fino a qualche
tempo fa — vivo e produttivo. Oggi, l’Italia dei paesi soffre di abbandono, ed
è da questa amara presa d’atto che muove nuovamente Vito Teti — dopo Il senso dei luoghi del 2004, ormai
quasi diventato un classico su questi temi — per compiere un itinerario,
sentimentale e razionale allo stesso tempo, dentro questo abbandono per
coglierne l’essenza più profonda e per farne in qualche modo, non troppo
paradossalmente, la cifra di una rinascita ancora tutta da progettare e
realizzare, ma nient’affatto impossibile, se ce ne saranno la voglia, la
volontà e la forza.
Le pagine di Quel che resta rappresentano
probabilmente il tentativo estremo, e quasi disperato, di fare un inventario di
ciò che significa, in negativo ma anche in positivo, questo rapporto con il
territorio e con i luoghi segnato dalla cifra dell’abbandono: un inventario nel
quale confluiscono rovine e reliquie, e nel quale i vari elementi — materiali e
immateriali — assumono sempre una coloritura sentimentale e addirittura morale,
là dove ad esempio sono le persone stesse, coloro che partono e coloro che
restano, a divenire le une “reliquia” delle altre. Ecco: sta proprio qui la
ricchezza, e direi la bellezza, del libro di Teti: il suo essere minuziosamente
attento ai particolari e alle loro storie, ma anche il suo saperne trarre i
significati più profondi sul piano esistenziale, avendo sempre riguardo ai
rapporti che intretteniamo con i luoghi e con chi li abita, li attraversa, li
vive.
E se quest’ultimo
lavoro dell’antropologo calabrese costituisce un’utile rassegna di ciò che si è
pensato, detto e scritto a proposito dei luoghi, e del Sud in particolare, esso
rappresenta anche una conferma del fatto che, per Teti, non è possibile fare
antropologia liberandosi completamente dell’autobiografia: molte sono le pagine
dedicate alla Calabria e alla esperienza diretta dell’autore, come non può non
essere per chi è convinto che non si dia alcuna possibilità di uno sguardo
neutrale e che non vi sia scrittura scientifica (meno che mai in campo
antropologico) che non sia allo stesso tempo scrittura autobiografica.
Nel
compiere il suo itinerario nei paesi — un itinerario sofferto e partecipato,
che si tiene programmaticamente lontano dalle mode e dalle celebrazioni — Teti
ha dunque i suoi personali compagni di viaggio, ciascuno chiamato a cooperare
con lui in una impresa animata soprattutto dalla compassione: perché è
compassionevole il gesto di chi fa l’inventario delle cose che rischiamo di
perdere, lo è il dare un nome a cose e luoghi che rischiano di essere
dimenticate, lo è il raccogliere le schegge di un mondo in frantumi al fine di
ricomporle e animarle di vita nuova. Quello di Teti, in effetti, non vuole
essere il gesto pietoso di chi si accinge alle esequie di un mondo perduto, ma è
piuttosto un gesto di resistenza dal significato fortemente politico, che vede
nel passato qualcosa che «può e deve essere riscattato», «un mondo sommerso di potenzialità diverse, non
compiute, ma suscettibili di future realizzazioni». Ciò che Teti propone, in
altre parole — proprio nell’elaborare una vera e proprio antropologia
dell’abbandono — è «un esercizio morale attraverso cui pensare il presente non
nella forma di “quello che è” ma nei termini di “quello che potrebbe essere”».
Non una «nostalgia restaurativa», dunque, bensì una «strategia per inventare il
paese» a partire dai suoi frammenti e dalle sue rovine.
Vito
Teti
QUEL
CHE RESTA. L’ITALIA DEI PAESI, TRA ABBANDONI E RITORNI
Prefazione
di Claudio Magris
pp.
XI-308, € 30,00
Donzelli, Roma 2017
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La copertina del libro |
(Questa recensione è stata pubblicata su "L'Indice dei libri del mese" nel numero di maggio 2018 con il titolo "Antropologia dell'abbandono")
dovrò leggere anche questo. il significato politico di del fare memoria.
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