Il principio Melissa
di Tommaso Greco
Il Buon Samaritano (Codex Purpureus Rossanensis) |
Credo sia opportuno spendere ancora qualche parola su quel
che è successo l’altro giorno a Torre Melissa, in Calabria, dove 51 esseri
umani di origine curda — uomini, donne, bambini — sono stati salvati dalla
popolazione del luogo, dopo che la barca a vela sulla quale erano stati
abbandonati dagli scafisti si era capovolta non lontano dalla costa. Le parole
commosse e commoventi con le quali il sindaco di Melissa, Gino Murgi, ha
commentato l’intervento suo e dei suoi concittadini, riecheggiano e si ergono
nel vano frastuono di una politica e di una coscienza sociale che, da qualche
tempo a questa parte, hanno fatto dell’indifferenza la propria cifra di
riconoscimento e il proprio luogo di autocompiacimento.
Melissa è un nome non del tutto sconosciuto alla Storia. Il
29 ottobre del 1949, quasi esattamente 70 anni fa, furono uccisi dai
carabinieri tre contadini — Francesco Nigro, di 29 anni; Giovanni Zito, di 15
anni; Angelina Mauro, di 23 anni — che si erano recati, insieme ad altre centinaia
di contadini, in contrada Fragalà per chiedere che venisse applicata la Legge
Gullo sulla distribuzione delle terre. Un giorno tragico, nel quale, con il
senno di poi, possiamo affermare che i carabinieri non uccisero solo tre
giovani cittadini, ma uccisero anche la coscienza civile dei calabresi, che non
ha più avuto una impennata degna dei mali di cui soffre la nostra terra.
Anche ciò che è successo l’11 gennaio del 2019 ha
un’importanza enorme, tanto che si potrebbe parlare di un vero e proprio principio Melissa per sottolineare la
priorità dell’umano su ogni altra considerazione di carattere politico,
giuridico o economico. Nelle parole del Sindaco — quelle nelle quali si
proclamava il rifiuto dell’indifferenza davanti alle «madri che gridavano e imploravano» — riecheggia una splendida pagina di quel cantore del mondo dei
‘semplici’ che fu Ignazio Silone, una pagina del romanzo Una manciata di more nella quale due contadini rispondono a un
carabiniere, mandato a casa loro per fare un rapporto, di aver soccorso uno
"straniero" senza pensare ad altro, se non che si trattasse di «un figlio di madre». Si
tratta di un motivo ricorrente in tutta la grande letteratura meridionale,
capace di opporre un principio fraterno alle
logiche escludenti e oppositive imposte dal potere. Diceva Simone Weil
(personaggio molto caro a Silone), che, «come in un pezzo di pane si legge
qualcosa da mangiare, e lo si mangia; così in un certo insieme di circostanze
si legge un obbligo; e lo si esegue». È esattamente ciò che
hanno fatto i cittadini di Torre Melissa, che senza un attimo di esitazione si
sono precipitati sul litorale al mattino presto e si sono buttati nell’acqua
gelida per salvare, da esseri umani, altri esseri umani. Ciò avveniva nello
stesso momento in cui altri esseri umani, stigmatizzati con la definizione di
‘migranti’, venivano lasciati in mare, in nome di un comando che impone di
tener chiusi i porti italiani.
Quel che è importante evidenziare,
in questa vicenda, è che qui non si tratta soltanto di una “buona azione”, ma
della riaffermazione di un vero e proprio principio di giustizia. Una giustizia
che va oltre il diritto, e se necessario anche contro il diritto, perché sa che
il diritto può cambiare per la volontà di un legislatore, ma c’è almeno una
parte della giustizia che rimane immutata, ed è quella che impone l’attenzione
al bisognoso e allo sventurato. È una giustizia che si realizza qui ed ora,
immediatamente, attraverso gesti come quelli dei cittadini di Melissa e che non
ha bisogno della mediazione istituzionale. La possiamo chiamare giustizia-carità, pensando al modello offertone
dal Buon Samaritano, ma mantenendo ferma l’attenzione sul primo termine, perché
è proprio di questo che si tratta: di un principio di giustizia, in quanto è un modo di pensare e realizzare le relazioni
tra gli uomini, e dunque di una giustizia che si affianca (e spesso supera)
tutte le altre, canonizzate dal pensiero giuridico: la giustizia-legalità, la
giustizia-uguaglianza, la giustizia-ordine. È una giustizia nella quale prima
di tutto viene l’uomo e la sua richiesta disperata di aiuto. Soprattutto quando
si tratta di un essere umano che non avrebbe alcuna voce se non ci fosse
qualcuno a sollevarlo da terra, come fece il Samaritano, o a raccoglierlo dalle
acque gelide, come hanno fatto gli abitanti di Torre Melissa.
È una
giustizia che implica (e si realizza in) tre ‘movimenti’: vedere (o ascoltare),
uscire dal proprio ‘io’, volgersi all’altro. Esattamente ciò che hanno fatto a
Melissa coloro che hanno udito un grido disperato e hanno agito di conseguenza.
Davanti a loro non c’erano degli stranieri, ma delle madri con dei bambini in
braccio, degli uomini che imploravano aiuto e che — semplicemente e
immediatamente — andavano salvati. «Come
in un pezzo di pane si legge qualcosa da
mangiare, e lo si mangia; così in un certo insieme di circostanze si legge un
obbligo; e lo si esegue». È questo il messaggio
di giustizia che ci viene da Torre Melissa.
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