Hammamet, o della distanza rispetto al Potere
di Tommaso Greco
Scoprire qualche settimana fa che Gianni Amelio aveva fatto un film su Craxi mi aveva letteralmente ‘sconvolto’. Voglio dire: Amelio è il mio regista preferito, e Craxi è stato il primo dei leader politici che si atteggiano a padroni di un Paese — e dunque, prima e indipendentemente da Tangentopoli — che ho potuto francamente detestare (dopo di lui, una lunga schiera). Quale connubio possibile? E soprattutto, quale poteva essere il punto di vista che il regista calabrese aveva assunto nell’affrontare un personaggio tanto discutibile?
Dopo aver letto tante
critiche, nelle quali il giudizio sul film veniva fatto dipendere quasi sempre
dal giudizio sul Personaggio di cui il film trattava, ho potuto finalmente
vedere l’opera di Amelio; e sono uscito dal cinema sinceramente rinfrancato. Nel
film non c’è agiografia, ma tutt’al più pietà umana nei confronti di un
personaggio che cammina verso la morte; e non è affatto vero che nel film vengano
sminuite le responsabilità politiche e morali dell’ “ultimo statista italiano”
(come i suoi seguaci continuano a considerarlo).
Certo, potevano esserci
tante altre cose; ma il rimprovero avrebbe senso se si fosse davanti a una
biografia di Craxi, cosa che invece il film non vuole essere. Mi pare, infatti,
che si tratti piuttosto dell’ennesimo capitolo di un discorso che Amelio porta
avanti da tempo e che ha a che fare con il Potere e con il modo in cui lo si
guarda (ci sono poi altri temi ricorrenti, come quello del rapporto tra padre e
figli). Amelio è un ‘meridiano’, e come tutti i meridiani, soprattutto quando
sono artisti, guarda al Potere da una certa distanza. Come tutti i meridiani,
egli vede il Potere innanzi tutto con disincanto. Non si approccia al Potere
con il piglio dell’intellettuale organico, e nemmeno con quello
dell’intellettuale militante: due forme di rapporto con il Potere che in
qualche modo lo legittimano, mediante l’adesione o la critica. Egli appartiene
ad un mondo che vede nel Potere un fenomeno quasi naturale, come il vento o la
pioggia, e se ne tiene distante; così come si tiene distante da ogni illusione
che si possa incidere sulle dinamiche del Potere medesimo. Non è un caso che
nei suoi film ci sia sempre un qualche personaggio — spesso si tratta di bambini,
ma talvolta anche di adulti-bambini (come in Lamerica) — che incarnano questa distanza e che letteralmente non
capiscono la logica entro la quale si muovono i personaggi nei quali invece si concretizza
la logica del Potere. In Hammamet questo personaggio è Fausto, il figlio di uno
dei collaboratori di Craxi, il quale appare come una sorta di angelo
vendicatore, e che finirà per raccogliere le ultime confessioni del potente che
si avvia alla morte. La “follia” di Fausto, i suoi occhi di ghiaccio, rendono
evidente e palpabile questa distanza, e allo stesso tempo rappresentano la
denuncia di un Potere che con la sua ingordigia ha occupato tutti gli spazi, quasi
che rispetto ad esso non rimanga che rifugiarsi nella distanza assoluta garantita
dalla follia.
Non è un caso che il
personaggio di Fausto sia stato del tutto incompreso nelle letture che sono
state date del film di Amelio. È stato scritto, ad esempio (qui), che egli è «la vera palla al
piede del film» e che «il suo personaggio non ha molto senso»:
quando invece esso rappresenta il vero centro del film, purché si sposti
l’attenzione (e mi rendo conto che non è facile, vista l’ingombrante figura
anche fisica del Protagonista) dal personaggio di Craxi, o meglio, purché si
veda il significato della connessione tra i due personaggi. Fausto è un
“estraneo”, non solo rispetto alla famiglia Craxi nella quale si trova a vivere
per qualche tempo; è un estraneo rispetto a quella logica nella quale tutti i
personaggi sembrano rinchiusi, anche coloro (come il padre di Fausto stesso)
che ne vedono la perversità e vogliono provare ad uscirne. Il Potere — come la
Forza analizzata da Simone Weil nella sua lettura dell’Iliade — contamina chiunque venga a contatto con esso, e l’unico
modo per salvarsene è restarne all’esterno, da estranei.
Naturalmente, rimane il
problema di come si possa incidere nella Storia se non ci si confronta
serenamente con il Potere e con le sue dinamiche: un problema che non può
essere ridotto al tema della necessità di “sporcarsi le mani”, e che emerge in
qualche battuta del film, soprattutto nel dialogo tra Craxi e il politico
“avversario, ma mai nemico”, impersonato da Renato Carpentieri, che va a
trovarlo nel rifugio di Hammamet. Rimane tuttavia fermo il punto di vista
principale assunto dal regista che, mi pare di poter dire, è quello della
distanza: come in certi romanzi di Ignazio Silone, nei quali i personaggi ‘semplici’
assistono con disincanto al cadere delle statue che fino al giorno prima erano
oggetto di culto, nel film di Amelio si assiste alla caduta di un personaggio
che si è servito del potere, ma che forse è stato a sua volta strumento di un
Potere che non muta, e che si abbatte sugli uomini come il temporale o come un
terremoto: i vetri infranti con cui il film inizia e finisce simboleggiano
l’ineluttabilità di questa caduta. La nota più amara sta nel constatare che gli
uomini e le donne che deridono il Potente ormai inerme alla fine del film sono
(o comunque sembrano) gli stessi che lo osannavano all’inzio: ma stavolta non
si tratta dei ‘semplici’ siloniani, tenuti fuori dalla politica e dalla storia,
vittime perenni dei giochi del Potere; si tratta invece di coloro che del
Potere hanno goduto i frutti e che continueranno a goderne grazie a coloro che,
dopo Craxi, ne porteranno la maschera. I ‘semplici’ — sempre presenti nei film
di Amelio, da Porte aperte a Il ladro di bambini, da Lamerica a Il primo uomo — sono scomparsi. Chi non vuole essere complice non
ha altro rifugio che gli occhi di ghiaccio di Fausto “il folle”.
Mi rendo conto di aver
scritto di Hammamet senza alcun
riferimento alla gigantesca prova di Pierfrancesco Savino. Una prova, appunto,
gigantesca, sulla quale si sono soffermati tutti i critici, soprattutto per
sottolineare l’inadeguatezza del film rispetto a una prova attoriale tanto
notevole. Ma proprio un attore così bravo, che in ogni gesto, in ogni parola,
sa rappresentare l’arroganza di un potere che si sfalda, permette ad Amelio di
dirci ancora una volta che solo la distanza può salvarci e (forse) darci la possibilità
di un nuovo inizio.
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