Paesi che muoiono….di troppi “lavori”
Per una
politica dell’attenzione quotidiana
Anche
se sembra incredibile a dirsi, ci sono paesi, nel nostro Sud, che muoiono per
sovrabbondanza di soldi e per mancanza di attenzioni. Sono come persone che
soffrono di solitudine e che invece di vedersi arrivare quei gesti quotidiani
che potrebbero farli sentire meno soli, vengono trattati con potenti dosi di
psicofarmaci che gli facciano dimenticare il loro male, e che li portano prima alla
follia e poi rapidamente alla morte. Ciò che li dovrebbe curare, secondo
dottori improvvisati e inesperti, è ciò che li fa morire. Incapaci di fare una
diagnosi attenta e veritiera, questi dottori sbagliano anche la terapia,
e così mandano il paziente direttamente al cimitero.
Questo
accade quando ai nostri paesi, che indubbiamente soffrono di solitudine e di
abbandono, vengono iniettate potenti dosi di lavori pubblici, che hanno il solo
effetto di ingigantire la solitudine e rendere ancora più evidente l’abbandono.
Qui non è in gioco, si badi bene, la spesa inutile ed elefantiaca; non sono in
ballo i ragionamenti su “chi ci guadagna” (perché qualcuno ci guadagna sempre,
e lo sappiamo). Certo, di questo si deve necessariamente parlare. Ma qui è in
gioco, innanzi tutto, ciò che la politica
dei grandi lavori nasconde: e cioè, l’assenza totale di quella politica dell’attenzione quotidiana, che
invece è quella che ci vuole per salvare i piccoli paesi.
Perché
ciò di cui questi paesi hanno bisogno è di avere spazi e momenti di condivisione e di
socialità, e invece i luoghi dove la condivisione e la socialità si potrebbero
realizzare vengono chiusi o resi impraticabili.
Abbiamo
giovani che vorrebbero coltivare i loro sogni di futuro, e vorrebbero possibilità
di crescita e di cultura, e invece non gli viene offerto altro che di rimanere soli
con il loro telefono cellulare.
Le
famiglie vorrebbero far crescere i loro bambini in un ambiente vivo, oltre che
sicuro, fuori dalle loro case, nelle strade e nelle piazze, perché sanno — lo
hanno sperimentato in tempi più semplici e felici, anche se più poveri — che il
senso della comunità è fondamentale nella crescita di ognuno; invece sono
costrette a non fidarsi di ciò che c’è “là fuori”, perché i
paesi sono diventati luoghi poco raccomandabili.
Ci
sono ragazzi che hanno bisogno di uno spazio dove praticare sport con entusiasmo
e continuità, ma si trovano davanti a mille scuse per evitare che possano farlo
veramente. Perché gli impianti possono aspettare, e non c’è alcun bisogno di
fare manutenzione. E quel poco che c’è basta e avanza per i tornei fatti una
volta l’anno, quelli che servono per mettersi in mostra d’estate, e chi s’è
visto s’è visto.
I
bambini, i ragazzi, i giovani, avrebbero bisogno di una biblioteca dove
studiare e scoprire cose nuove, e magari farsi venire qualche idea da
realizzare insieme in futuro; ma proprio questo fa tanta paura: le idee nuove,
e soprattutto le idee condivise, sono pericolose per chi nello status quo ha trovato di che
arricchirsi.
I
bambini e i ragazzi hanno bisogno di una banda dove imparare la musica e nella
quale realizzare quella straordinaria esperienza che è il suonare insieme. Ma perché
sforzarsi di creare una cosa che rischia di portare conflitti e invidie? È
meglio lasciar stare pure questa.
Gli
studenti universitari sarebbero contenti di avere uno spazio nel quale recarsi
a studiare, quando tornano a casa e magari devono preparare un esame. Ma che
ragione c’è di farli stare insieme nello stesso luogo, nel quale possono
scambiarsi esperienze, e magari parlare del futuro del paese e di ciò che loro
potrebbero fare per migliorarlo? Meglio che stiano ognuno a casa loro.
Gli
anziani…ah, ci sono anche e soprattutto gli anziani. I quali vorrebbero solo un
posto dove potersi sedere per fare due chiacchiere, magari facendosi trafiggere
da un raggio di sole, e invece devono trascinare i loro passi nella polvere e
nel fango prodotti dai megalavori delle meraviglie. E tanti di loro decidono
che è meglio il cantuccio del focolare.
Le
piccole aziende che rendono vivo il tessuto economico di un piccolo paese avrebbero
bisogno di uno spazio per valorizzare i loro prodotti, facendoli conoscere nel
territorio, ma anche qui, meglio che ognuno si arrangi e faccia da sé. C’è infatti
chi si fa centinaia e centinaia di kilometri per portare fuori i suoi prodotti,
e molta gente del Nord gliene è grata, ma in paese non ci sono spazi dove si
possa tenere un mercato dell’agricoltura e dell’artigianato locale, e che possa
essere un polo di attrazione per la gente che vive dentro e fuori il paese.
Troppo complicato il solo pensarlo.
La
gente — sì la gente, il popolo, insomma quelli che votano — ha bisogno di
lavorare; magari alcuni potrebbero mettersi insieme, creare una bella
cooperativa per produrre le eccellenze locali (e ogni luogo ce ne ha
all’infinito). Ma perché incentivarli e ancora una volta insistere con la
cooperazione, portando le persone a fare qualcosa insieme? Non è mille volte meglio tenerli separati e contrapposti
l’uno all’altro, offrendo loro il sogno di un bel “posto”, come nei film di
Checco Zalone, e pace se poi questo posto non arriverà mai, perché c’è sempre
qualche inghippo che blocca le procedure? I sogni non sono sufficienti per
andare avanti nella vita?
I
centri storici, anche loro, hanno bisogno di essere amati e curati, innanzi
tutto mantenendoli coerenti con la loro storia architettonica e urbanistica, ma
questo richiede di dover dire dei no, e come si fa a dire di no a chi ci ha
votato? Chi se ne frega dei centri storici e di come saranno tra cent’anni?
Saranno problemi di chi ci sarà allora, se esisteranno ancora i centri storici,
cosa di cui in certi paesi c’è da dubitare.
In
compenso, possiamo proclamare ai quattro venti che sono arrivate alcune
centinaia di migliaia di euro per il progetto tal dei tali, duecentomila per quell’altro
progetto, e così via di annuncio in annuncio. La sede della Regione è un vero e
proprio set (auto)fotografico dove sindaci trionfanti annunciano di aver
ottenuto grandi successi. Così, si sistemerà la piazza, che sicuramente (forse)
verrà più bella che in passato ma non ne aveva bisogno, e si sistemerà anche la
strada. Però non la strada che magari necessita davvero di un intervento;
quella la facciamo aspettare un altro poco (se ha aspettato fino adesso, allora
vuol dire che può aspettare ancora). Intanto sistemiamo la strada che porta
alla campagna di coloro che ci hanno votato, così facciamo vedere che siamo
gente che mantiene le promesse. Non è così che fanno i galantuomini?
Il
problema vero, allora, è che la politica dei grandi finanziamenti e dei grandi
lavori, questa politica tanto propagandata dai sindaci di molti paesi
meridionali, ci fa dimenticare l’ossigeno di cui abbiamo bisogno tutti i
giorni, e questo ossigeno è fatto di due cose fondamentali: la socialità e la
cultura. Due cose che fanno paura agli amministratori. Perché la socialità fa stare insieme le persone, e
quando le persone stanno insieme fanno quella cosa tanto pericolosa che è il
parlare, e poi finisce che parlano di ciò che si fa e di ciò che non si fa. E
la cultura dà alle persone quegli
strumenti che gli permettono di vedere che la realtà può essere diversa, e che
la realtà nella quale esse vivono può essere migliorata e messa in discussione.
Questo
è l’ossigeno, e senza ossigeno si muore. E infatti, ci sono paesi che muoiono. Finché
gli spazi che abbiamo a disposizione non saranno valorizzati per coltivare le
relazioni e la cultura, allora non c’è iniezione di soldi che possa bastare per salvare i
nostri paesi.
Non
ci meravigliamo se anche le feste sono sempre più tristi; non rimaniamo sorpresi
se intorno al fuoco di Natale, che ogni anno si accende nella piazza centrale,
non rimane più nessuno a condividere quel momento che un tempo era sacro. La
gente ormai è disillusa, non crede più che si possa migliorare, o che si possa
tornare ai bei tempi di una volta. Perciò preferisce stare a casa, dove gli
amministratori sono ben felici di farla restare. Tanto loro hanno sempre un
posto migliore dove passare le loro serate e le loro feste. E se il paese muore
del tutto… beh, c’è qualcuno a cui importa veramente? Se gliene importasse,
alla gente, dice qualcuno, lo si vedrebbe al momento delle elezioni. E invece…..pare proprio
che dei nostri paesi non importi proprio più niente a nessuno.
Approvo in pieno ogni parola. Mi piange il cuore ogni volta che penso al destino dei piccoli borghi calabresi dove non si intravede un benché minimo cenno di speranza di rinascita. Si potrebbero fare mille analisi diverse sul perché si sia arrivati ad un tale livello di declino ma l'amara verità è che ancora è diffuso il gergo "facciano quello che vogliono purché non invadono la mia quiete", non capendo che proprio in quella libertà di farli agire si nasconde il vero veleno del territorio.
RispondiEliminaGrazie per il commento e l'apprezzamento. Per fortuna ci sono paesi dove le cose vanno diversamente. Piccoli semi di futuro, che speriamo siano da esempio anche per altri.
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